venerdì 8 gennaio 2010
The public be informed
Questo non è un ufficio stampa segreto. Il nostro lavoro consiste nel lavorare con trasparenza e nel dare notizie. […] Il nostro programma è di fornire alla stampa e al pubblico degli Stati Uniti informazioni aggiornate accurate relative ad argomenti importanti e interessanti per il pubblico. […] Noi forniamo notizie i cui dettagli potranno essere verificati dai giornalisti che noi siamo pronti ad aiutare. Siamo infatti disponibili a supportarli al fine di ottenere informazioni più complete su ciascun argomento trattato...
Può essere considerato ancora oggi un manifesto della professione di addetto stampa questo storico testo del 1906, che segnò allora l’inizio di un nuovo modo di intendere le relazioni pubbliche e le media relations in particolare.
Ingaggiato da una società per tutelare la sua immagine in occasione di uno sciopero scoppiato in alcune miniere di carbone, Ivy Ledbetter Lee, figlio di pastore protestaste, un passato da giornalista economico, decise di mandare questa dichiarazione d’intenti ai direttori dei giornali interessati, insieme a comunicati stampa che informavano sull’andamento delle trattative al termine di ogni seduta. Lee usò lo stesso stile in occasione di un disastro ferroviario che coinvolse la Pennsylavia Rail Company del magnate Joh D. Rockfeller. Vincendo le resistenze dei dirigenti, portò con un treno speciale i giornalisti sul luogo dell’incidente, fornendo loro informazioni e assistenza.
Cominciava una nuova era nei rapporti con stampa e l’opinione pubblica. Dal the public be fooled al the public be informed. Quello inaugurato da Ivy Lee, e che prevale negli Stati Uniti dall’inizio del secolo fino alla prima guerra mondiale, è il secondo dei modelli di relazioni pubbliche individuato e codificato da Grunig, il modello della Public Information, che evidenzia appunto l’obiettivo di fornire il massimo delle informazioni possibili al pubblico.
L’idea di Lee era questa. E’ importante dare notizie veritiere circa le attività e i comportamenti dell’organizzazione. Se le notizie danneggiano l’organizzazione, allora è il caso di cambiare i comportamenti!
Un’affermazione rivoluzionaria per quei tempi ma credo anche per i nostri, almeno per le esperienze che vedo e conosco. Cambiare i comportamenti è possibile se il ruolo della comunicazione è considerato strategico non ai fini della mera promozione/pubblicità ma ai fini dell’organizzazione e quindi dello sviluppo dell’azienda o dell'ente in questione. Altrimenti ci si limiterà a nascondere lo sporco sotto il tappeto, magari investendo in costose operazioni di maquillage. Secondo Grunig il modello della Public Informazione era praticato ancora negli anni 80 dal 50% delle organizzazioni americane, soprattutto nel settore della pubblica amministrazione e del non profit. In Italia ho l’impressione a volte che dobbiamo ancora cominciare…
Negli Stati Uniti, invece, commenta Invernizzi, già all’inizio del ‘900 le grandi imprese si resero conto degli effetti positivi che potevano derivare all’impresa dal dire la verità. E’ in nuce il grande tema della responsabilità sociale, che sicuramente ha acquistato un peso rilevante oggi tra le grandi aziende. Proprio mentre scrivo, i giornali raccontano l’ammissione pubblica di responsabilità da parte del presidente degli Stati Uniti, per la falla nel sistema di sicurezza che ha rischiato di provocare nei giorni scorsi un’altra strage terroristica. “Mi assumo definitivamente io la responsabilità”, ha detto Obama.
(Nella foto, presa dalla pagina dedicata di wikipedia, Ivy Ledbetter Lee)
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